Pietro Felter, "l'africano di
Vallesabbia", da Sabbio Chiese ad Adua ed al forte di Makallè
da protagonista.
Pietro Felter nacque a Roè Volciano il 4 agosto 1856, ma fin
dalle prime classi dell'elementare si spostò a Sabbio Chiese.
Frequentò anche le scuole di Genova e Salò, e compì
poi gli studi tecnici a Breno, ma buona parte della sua vita vissuta
in Italia la trascorse a Sabbio.
Ma molti furono gli anni trascorsi in Africa, lui che ebbe un ruolo
così importante nelle vicende della prima guerra d'Africa: si
trovò al centro di avvenimenti più grandi di lui, resi
incomprensibili dalle titubanze e dall'indecisione del governo italiano
del tempo e dalle strumentalizzazioni del mondo militare:"Non appena
mi ebbe davanti" narra il Felter del suo primo incontro col Negus
Menelik "egli mi fissò intensamente; io, fiero ed impettito,
lo guardai nel bianco degli occhi. Egli voleva mandar via gli italiani
del forte di Makallè, ma non sapeva come. Alla fine, a nome di
Menelik, si offriva ai soldati di stanza a Makallè l'opportunità
di uscire dal forte e di allontanarsi con le armi".
Sul ruolo chiave di Felter nella resa del forte Makallè a gennaio
del 1896, e nella comunicazione a Massaua della sconfitta di Adua, non
vi è dubbio. Ma l'opinione pubblica italiana e gli ambienti militari
lo ritennero il maggior responsabile sia della disastrosa sconfitta
di Adua che delle disgrazie africane di fine secolo, e questo lo amareggiò
molto: egli era infatti un uomo leale, invischiato suo malgrado nelle
maglie della diplomazia corrotta:"Le abbiam prese sode" scrive
al nipote Lino "e sono ancora vivo. Ma sappi che, se mi avessero
dato ascolto, li avremmo suonati".
E ancora:"Io ero fautore della ritirata a nord, ma la cosa non
era gradita al generale Baratieri (capo del corpo di spedizione africano),
e non si fece. Quando lo incontrai la sera stessa della sconfitta, ormai
disfatto ed insanguinato, mi chiese:"Che si fa?" Ma ormai
era tardi".
Tornato a Sabbio, Felter visse gli anni successivi, escluso dalla missione
governativa che negoziò la pace di Addis Abeba, senza capire
il perchè dei torti e delle umiliazioni subite da stampa e governo.
Per molti italiani resterà un losco figuro a cui addebitare la
sconfitta, perchè troppo amico degli eritrei (la figlia Piera
verrà allevata dalla famiglia Makonnen assieme al loro figlio
Tafarì, il futuro imperatore Hailè Sellasiè I):"Basta.
Meglio rimanere qui a Sabbio Chiese a coltivare cavoli, che farsi il
sangue cattivo in Africa".
In reltà non dimenticò, tanto da tornare nuovamente in
Africa, in Dankalia, dove rimase per altri 16 anni con incarichi governativi
e commerciali che avrebbero potuto arricchirlo: ma egli rifiutò
con fierezza ogni ricompensa. Finì per ammalarsi di lebbra, malattia
che lo porterà alla morte a Sabbio, il 25 gennaio 1915, a soli
58 anni. Intanto, le ricostruzioni storico-militari evidenziarono come
egli evitò all'Italia guai peggiori: ma da vivo, mai gli fu riconosciuto.
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